giovedì 28 giugno 2012

Amarene sciroppate della nonna

Le amarene sono da tempo considerate un po' come le sorelle racchie delle ciliegie, quelle acidine e un po' antipatiche che nessuno inviterebbe ad una festa. Eppure anche loro, poverine, hanno delle grandi virtù: i frutti, tanto per cominciare, sono molto ricchi di vitamina C e B, ma persino le foglie vengono utilizzate per preparare un liquore mentre i peduncoli trovano impiego in erboristeria per le loro proprietà diuretiche. Circa la storia delle amarene, poi, queste piccole parenti delle ciliegie pare siano state importate dal Medio Oriente niente meno che per allietare ed arricchire le leggendarie tavolate del romano Lucullo, quello dal cui nome nacque il detto "pranzo luculliano"!

Hanno una storia che le vede approdare nell'antica Roma prima ancora della nascita di Cristo, hanno indiscutibili proprietà salutari, ma hanno pure innegabilmente un gusto tra l'acidulo e l'amarognolo che molto spesso risulta tutt'altro che gradevole. Eppure a me le amarene piacciono. Le trovo simpatiche, così piccine e bistrattate. E poi, per dirla tutta, mi sarebbe spiaciuto da pazzi lasciare tutti questi bei piccoli frutti lucenti in balìa degli uccelli, quindi mi sono attrezzata e ho fatto man bassa delle amarene cresciute sull'alberello nel giardino dei miei genitori, lasciandone comunque una buona dose a beneficio di merli, passeri, pettirossi e vari volatili famelici. Dopodichè mi sono fatta dire da mia nonna la sua ricetta per le amarene sciroppate fatte in casa. E mi sono messa all'opera.

Una volta raccolte, le ho lavate per benino, asciugate accuratamente e private dei noccioli. In un barattolo sterile ho messo una cucchiaiata di zucchero e poi vi ho messo alcune amarene, altro zucchero e altre amarene, altro zucchero e altre amarene, a strati, come se stessi costruendo una lasagna di frutta in un barattolo.


Arrivata alla sommità del barattolo, ho cosparso il tutto con un ultimo strato di zucchero ed ho messo il tappo. Poi ho piazzato il barattolino sul balcone, al sole. La nonna su questo punto è stata chiarissima: le amarene vanno lasciate al sole per qualche giorno - e riportate in casa la notte - e occorre ricordarsi di scuotere il barattolo di tanto in tanto, mano a mano che va formandosi lo sciroppo.

Non so il motivo di questa indicazione meteorologica, ma le ricette della nonna non si discutono. Quindi primo barattolino al sole e via con un nuovo barattolo da riempire.

Anche questa ricetta, come la maggior parte di quelle da me inserite d'altro canto, è praticamente a costo zero e comporta soltanto la spesa di un po' di tempo e di pazienza.

Non è un caso che le indicazioni su come preparare questa conserva di frutta me le abbia fornite la mia nonna: lei è nata nel 1921, la Prima Guerra Mondiale era finita da qualche anno ed era una giovane donna quando scoppiò la Seconda. In quegli anni, mi assicura, si mangiava davvero di tutto; gli alberi da frutto erano considerati una benedizione e lei mi ha sempre raccontato di considerarsi fortunata per non aver mai patito la fame, grazie alla sua famiglia contadina.
Quando gli echi di guerra si spargono in ogni dove, quando il cibo comincia a venir razionato, quando diventa necessario avere una tessera per poter vantare il diritto ad avere un po' di pane da portare in tavola, non stupisce certo che si escogitino anche i modi per conservare e rendere più dolci persino i frutti amarognoli e aciduli dell'amareno selvatico.

In quegli anni, per la verità, anche di zucchero ne circolava pochino - veniva razionato, come praticamente ogni altro genere alimentare, ed ogni famiglia, purchè potesse esibire la tessera fascista, aveva diritto a un certo quantitativo pro capite - e certamente i barattoli di amarene sciroppate che circolavano per la casa dei miei nonni e bisnonni erano molto meno dolci di questi che ho preparato io.

Oggi, in tempi di "austerità e rigore", anche se il cibo non viene certo razionato, può rivelarsi utile oltre che molto gustoso riscoprire le antiche ricette tramandate di generazione in generazione e, sebbene grazie al cielo non vi siano soldati armati a guardia dei generi alimentari, io posso contare su un ferocissimo gatto da guardia (!?!) che vigila affinchè le mie amarene sciroppate non scompaiano troppo presto dai loro barattoli.

Qualche suggerimento su come utilizzare queste rosse delizie? Beh, potete davvero dare libero sfogo alla vostra fantasia in cucina, escogitando abbinamenti curiosi; personalmente, amando la semplicità, trovo che insieme al gelato fior di latte siano una squisitezza, ma vi consiglio di provarle anche tuffate nello yogurt naturale per una colazione luculliana!


domenica 24 giugno 2012

Un ritorno in grande stile: stage di Krav Maga con Danny Hazan


Non ho detto niente fino a cose fatte perchè la paura di non farcela era davvero tanta, ma adesso direi che possiamo brindare al mio ritorno nel mondo delle arti marziali e, signore e signori, sto parlando proprio delle arti marziali praticate, sudate e vissute sulla mia pellaccia!

Da qualche tempo ormai, grazie a Dio e ad un integratore alimentare portentoso (oltre che 100% naturale, cosa per me molto importante), l'asma non mi tormenta più e così ho pensato che forse era giunto il momento di mettermi alla prova, tentando di tornare a calcare il tatami; naturalmente - e chi mi conosce meglio lo sa - non potevo certo farlo con un allenamento normale. Nossignori! Per testare il mio stato di salute ho pensato bene di cominciare con:
  • uno stage internazionale
  • un'arte marziale mai praticata prima in vita mia (beh, per l'esattezza un metodo di combattimento)
  • una full immersion di botte dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio
il tutto, mi pare ovvio, concentrato in un unico evento: lo stage di Krav Maga tenuto a Milano dal Grand Master israeliano Danny Hazan, ex membro dei reparti speciali israeliani e fondatore dell'AIKMA, cintura nera in sette diverse arti marziali, esperto di Sambo, Grappling, lotta a terra.

Abbiamo cominciato con un bel riscaldamento, basato in larga misura su esercizi di isometria che prevedeva, tra le altre cose, anche esercizi in coppia come il tenere il proprio compagno sulle spalle piegandosi sulle proprie ginocchia, come ad effettuare uno squat, mantenendo la posizione. Poi ha preso il via quello che lo stesso G. M. Danny ha definito "fare sul serio".
Non avendo mai praticato Krav Maga prima non ho chiaramente termini di paragone, ma devo dire che mi sono molto piaciuti alcuni punti cardine della filosofia marziale di questo Maestro di grande esperienza: "don't be there", tanto per cominciare, "non essere lì", ovvero sia evitare lo scontro quando possibile, cercando di prevenire o scansare situazioni di rischio, e comunque mai cadere nella tentazione di lasciarsi trascinare in un duello hollywoodiano ma fare lo stretto indispensabile per difendersi e allontanarsi poi subito dal pericolo per portare a casa la pelle.

"Se non funziona per una ragazzina di 12 anni, allora non è Krav Maga": altro punto cardine è la semplicità. Chiunque deve essere in grado di difendere se stesso, cominciando dall'attenzione da prestare quando si gira per strada - si capisce, dalle parole di Danny Hazan, non soltanto che ha grande esperienza in termini militari, ma anche che viene da un luogo da sempre martoriato da guerre e sommosse; qui da noi i ragazzini giocano a calcio, laggiù imparano difesa personale e tecniche di disarmo - fino ad arrivare al combattimento corpo a corpo, con tecniche veloci e semplici. Niente effetti speciali, qui, solo tecniche rapide e immediate che chiunque può apprendere e mettere in pratica.
Dal momento che nella magnifica palestra Urban le ragazzine di 12 anni scarseggiavano, la mia mole imponente ha fatto sì che diventassi un'ottima "cavia": se una tecnica funziona con me, allora è indiscutibilmente Krav Maga!



Nel corso dello stage le gomitate hanno rivestito un ruolo importante: quella del gomito è una delle ossa più dure del corpo umano e può essere utilizzata con estrema semplicità per realizzare guntig molto dolorosi (nozione, questa, ben chiara anche nel Kung Fu T'Ienshu e più volte fattami mettere in pratica dal mio maritino… a volte ho l'impressione di aver sposato Rambo!): lo stretto necessario per sorprendere l'aggressore e allontanarsi alla svelta.

Il concetto di sorpresa e rapidità di reazione è stato applicato anche agli attacchi con arma, coltelli e pistole. Qui sopra potete ammirare il mio adorabile maritino che tenta di accoltellarmi… He! He!
Grande attenzione è stata posta anche sull'aspetto psicologico: il Maestro Hazan ha spiegato come sia indispensabile non cedere, riuscire a resistere sotto pressione, perchè ciò che si prova in palestra non è nemmeno lontanamente vicino alla situazione di stress causata da un'aggressione reale.
Spalle al muro, ciascuno di noi ha subìto attacchi e doveva cercare di difendersi; poi ci siamo dovuti allontanare da un aggressore che ci schiaffeggiava… l'obiettivo era semplice: resistere. Non mollare. Tutto qui. Tenere duro per un minuto. Un minuto scaduto il quale saremmo diventati noi l'aggressore.

Al di là degli aspetti più tecnici dello stage, sono rimasta molto colpita dalla filosofia marziale sviluppata dal Grand Master Danny Hazan (che presenta alcuni punti sorprendentemente vicini a quella del T'Ienshu e che condivido in pieno) e dalla sua serietà unita ad una squisita gentilezza e disponibilità: "Un Maestro non è chi sa - ha detto, ad esempio, nel corso della lunga giornata di studio - ma chi fa in modo che i propri allievi sappiano" e, coerentemente con queste parole, non si è certo risparmiato per fare in modo che ogni concetto, ogni movimento fosse ben compreso e applicato da tutti i partecipanti.

Ho imparato il Krav Maga? Assolutamente no! Il Krav Maga - come qualunque altra arte marziale e disciplina di combattimento, d'altro canto - non si impara con uno stage e nemmeno grazie ad un pacchetto di dieci lezioni o a qualche dvd. Richiede dedizione e pratica costante. Io ho semplicemente compiuto il primo passo sul primo gradino della prima scalinata che porta ad imparare il Krav Maga. Ma sono grata al Maestro Stefano Maiocchi per aver organizzato questo stage internazionale ed avermi dato l'opportunità di mettere me stessa alla prova, fisicamente e psicologicamente; sono grata al Grand Master Danny Hazan per tutto ciò che ha voluto trasmetterci nel corso di questo incontro; sono grata ai ragazzi ed alle ragazze incontrati perchè ogni incontro è occasione di confronto e di crescita e sono grata a mio marito e agli altri rappresentanti della nostra Scuola di arti marziali di Saronno che hanno condiviso con me questa esperienza.

(Ecco qui sopra la rappresentativa della nostra Scuola, con il G. M. Danny Hazan in maglietta verde ed il Maestro Stefano Maiocchi all'estrema destra)

domenica 17 giugno 2012

Vi piace il gelato? Amerete Grom!


Cosa c'entra il gelato con un libro? Beh, tanto per cominciare niente vieta che questi due piaceri della vita possano andare a braccetto e che si possa leggere un buon libro gustando un altrettanto buono gelato. In questo caso specifico, poi, il gelato è proprio parte integrante del libro, perchè è dal sogno di uno dei due protagonisti - quello di fare il gelato "come una volta", il gelato più buono del mondo - che prende il via la straordinaria esperienza di vita vera che è stata poi racchiusa in queste pagine.

Federico e Guido sono amici da una vita, quel genere di amici che si completano a vicenda, che non sempre si capiscono ma che sempre si vogliono bene e che sanno che il loro sodalizio può vincere ogni avversità; non importa se uno fa il manager e l'altro l'enologo, se uno è pragmatico e l'altro sognatore. Si completano a vicenda. Sono amici. Punto e basta. 

Da questa amicizia e da un sogno condiviso è nata prima una piccola gelateria, in un negozietto di venticinque metri quadrati a Torino, poi una piccola azienda, poi una realtà imprenditoriale che ha aperto gelaterie Grom non soltanto in Italia, ma anche in Giappone, negli Stati Uniti, in Francia… E, chiaramente, da questa amicizia e da un sogno condiviso è nato pure questo libro, scritto con colori diversi a seconda se a parlare è Federico o Guido. Un libro che si collega idealmente a quello dell'"Ufficio di Scollocamento", che ne segue i principi e ne abbraccia le idee, anche se probabilmente i diversi autori non si sono mai incontrati nonostante siano tutti e quattro italiani, tutti e quattro rappresentanti dell'Italia migliore. Quel Paese che non teme di cambiare e, anzi, ne percepisce l'urgenza; quell'Italia che vuole e sa essere ancora oggi innovatrice e rivoluzionaria.

In "Grom - Storia di un'amicizia, qualche gelato e molti fiori" si trovano frasi che tutti dovremmo leggere e che soprattutto chi ha la nostra età o è persino più giovane dovrebbe appuntarsi sul frigorifero, sullo specchio del bagno, sull'anta dell'armadio e meglio ancora all'interno del cervello e del cuore, per essere certo di non scordarle; frasi come "Non dovremmo mai abbandonare i nostri sogni: è volgare, perchè così non rispettiamo noi stessi", "I muri non servono per fermare chi desidera davvero qualcosa. Servono per fermare quelli che non ci credono abbastanza" e anche "Se fosse una cosa semplice, che senso avrebbe chiamarla impresa?".

In questo libro non troverete una favola, anche se le pagine sono allegre e scandite dai magici disegni di Gabriella Bianco; troverete la storia vera di due giovani amici e di un sogno. Un sogno che si realizza, che a tratti va persino oltre le più rosee aspettative, ma che richiede costanza, impegno, sacrificio. Prima di arrivare a trattare con in sindacati per trovare orari soddisfacenti e salari dignitosi per i propri dipendenti, questi due ragazzi hanno provato sulla propria pelle a lavorare venti ore al giorno dividendosi i turni di notte in gelateria per la preparazione delle miscele e per la mantecazione; prima di arrivare a parlare a quattr'occhi con personaggi del calibro di Riccardo Illy, questi due ragazzi hanno subìto l'umiliazione di venir trattati con sufficienza dal titolare di un'azienda specializzata in banconi per gelateria: "Non vi farò una proposta, sarebbe inutile: fallirete così in fretta che non fareste nemmeno in tempo a pagarmi la fattura". Chissà cosa sta facendo ora, quel tronfio imprenditore, sapendo che si è lasciato scappare i fondatori di Grom? 

Insomma: se state pensando di scollocarvi, se cercate di capire se sia giusto o meno seguire il vostro sogno o anche se, semplicemente, volete leggere una bella storia di vita vissuta, non potete perdervi questo libro. Magari letto con calma, su una panchina di un parco, mangiando un buon gelato fatto "come una volta".

Titolo: Grom - Storia di un'amicizia, qualche gelato e molti fiori
Autore: Federico Grom, Guido Martinetti
Editore: Bompiani
Anno di edizione: 2012
Ulteriori info qui

martedì 12 giugno 2012

Arti marziali miste a Saronno, che spettacolo!

Inutile negarlo: si sapeva che questo incontro di MMA in provincia di Varese sarebbe stato di alto livello, ma, ve lo confesso, pur avendo contribuito ad organizzarlo non avrei mai immaginato un simile successo!

Sul tatami sono scesi fior fior di campioni e di Maestri, provenienti da diverse regioni italiane e da differenti discipline marziali, tutti felici per questa opportunità di crescita personale e di confronto. In palestra si respirava un'atmosfera di grande umiltà, collaborazione e rispetto reciproco. Insomma: per me è stato davvero splendido potermi sentire parte di un'esperienza così bella e coinvolgente!

Qualche nome? Beh, innanzi tutto il Maestro Mario Rama, dirigente tecnico nazionale per le MMA Total Combat, premiato con la targa di platino alla Hall of Fame a Valencia nel 2010 e Campione Europeo di Thai Boxe nel 2011 sotto la direzione CSA.In CONI, giusto per citare i riconoscimenti più recenti che è riuscito a conquistare.
Olexee Milenko, detto Alex, grande combattente dal cuore sovietico che da anni vive e lotta nel nostro Paese, due volte Campione Italiano. E poi Maestri e istruttori di levatura eccezionale, come il milanese Stefano Maiocchi, direttore tecnico della WFC Self Defence Academy, maestro quinto Dan di Judo ed esperto di metodi di autodifesa e difesa personale come il Krav MagaDavide Novelli, istruttore di MMA per il Team Rama presso il dojo "Meiyo Academy" di Torino ed esperto di Thai Boxe, tanto appassionato e determinato che nemmeno un infortunio al braccio destro è riuscito a tenerlo lontano dal tatami di questo incontro interregionale. 
Poi, naturalmente, Davide Carpanese che, oltre ad essere il mio maritino, ha un curriculum marziale niente male: Maestro terzo livello di Kung Fu stile T'Ienshu, responsabile tecnico per la Lombardia dello stesso, istruttore di Kali, istruttore quarto livello di MMA Total Combat e vice dirigente tecnico nazionale per la stessa disciplina.

(Cliccare sull'immagine per ingrandirla)

Al di là di nomi e titoli, però, ciò che davvero è stata importante è stata l'opportunità di crescita e confronto marziale. Gli atleti si sono impegnati al massimo e, dopo un riscaldamento accurato, sono passati a provare tecniche di lotta in piedi e a terra, sperimentando pugni, calci, proiezioni e leve articolari. 
Sabato sera, poi, si è tenuta la Serata di Gala "Hall of Masters - Oscar delle Arti Marziali" e domenica si è svolto lo stage per aspiranti istruttori… troppo per poter riassumere tutto in un unico post! Prometto altri aggiornamenti e dettagli a breve.

giovedì 7 giugno 2012

Non solo geishe: il Giappone delle donne guerriero


La letteratura e, di rimando, la cinematografia ci hanno spesso proposto l'immagine della donna giapponese in qualità di geisha: un ruolo molto sovente travisato dagli occidentali, che hanno assimilato queste fanciulle all'equivalente nostrano delle prostitute d'alto bordo. 

In realtà la geisha non trova nulla di simile nel mondo occidentale, ma non è di questo che intendo parlare in questo post, bensì della molto meno nota onna-bugeisha: la donna samurai
Durante la travagliata era dei samurai, quello che è l'odierno Giappone era spesso scosso da violente guerre interne e rivolte; compito principale della donna era quello di badare alla casa durante l'assenza del marito samurai e, nell'accezione di "badare", non rientravano soltanto la cura dei figli e l'amministrazione dei beni domestici, ma anche quello di vera e propria difesa della casa da ladri e invasori.

Cresciute secondo i valori dell'umiltà, dell'ubbidienza, dell'auto controllo e della lealtà, queste donne guerriere della classe samurai venivano anche addestrate nell'uso di una lunga arma chiamata naginata e di uno speciale coltello, il kaiken. Esperte nell'arte marziale chiamata Tantojutsu, una rapidissima quanto violenta lotta con i coltelli, queste combattenti venivano addestrate sin da giovanissime e diventavano samurai molto agili e veloci, capaci di avere la meglio anche contro avversari temibili come malviventi e ladri.

Pur appartenendo ad una delle classi sociali più elevate dell'antica società nipponica, le donne samurai erano comunque subordinate agli uomini; questo non impedì tuttavia il loro attivo impegno nelle battaglie: durante il periodo feudale furono molte le mogli, ma anche le vedove e le figlie più ribelli della classe bushi - quella dei samurai - a scendere in battaglia per difendere i possedimenti del loro signore ed il proprio onore. La onna-bugeisha era tenuta in grande considerazione nei villaggi e spesso considerata una vera e propria eroina che difendeva la popolazione laddove mancavano uomini combattenti, impegnati altrove in battaglia.

A metà strada tra storia e leggenda si trova l'Imperatrice Jingu, vissuta all'incirca tra il 169 e il 269 a.C., che si narra guidò l'invasione della Corea nel 200 a.C. come onna-bugeisha, dopo che il marito, l'Imperatore Chuai, venne ucciso in battaglia. Narra la leggenda che Jingu fosse tanto letale che riuscì a condurre l'esercito verso la conquista della Corea senza mai restare ferita in battaglia, senza versare neppure una goccia del proprio sangue. Sebbene la sua reale esistenza storica non sia ancora stata provata con certezza e i racconti delle sue gesta sfumino spesso nel mito, l'Imperatrice Jingu fu la prima donna il cui ritratto comparve stampato su una banconota giapponese.

Molti secoli dopo, sul finire del 1100, un'altra donna guerriera entrò di prepotenza nella travagliata storia del Giappone: Tomoe Gozen, moglie di Minamoto Yoshinaka, divenne famosa per la sua abilità con arco e frecce e per il suo indomito coraggio. Dai racconti Heike Monogatari (romanzo epico giapponese del XIV secolo, di autore anonimo, che riprende storie prima trasmesse oralmente, è basato sugli scontri che videro contrapposti i clan Taira - o Heike - e Minamoto), che narrano le gesta dei samurai nel corso della Guerra Genpei (1180 - 1185), la figura di Tomoe Gozen emerge con vigore: pelle chiara e lunghi capelli neri, questa donna samurai si lanciava in battaglia accanto al marito, cavalcando un cavallo bianco e dimostrando un'abilità guerriera e un coraggio del tutto equiparabili - quando non superiori - a quelli degli uomini.

Anche quando l'era dei samurai era ormai inesorabilmente tramontata, alcune donne guerriere entrarono nella storia del Giappone per il loro coraggio e per il senso dell'onore: più vicina ai giorni nostri è ad esempio Nakano Takeko, onna-bugeisha vissuta nel 1800 che, nel corso della Battaglia di Aizu (1868, una delle più cruente battaglie della Guerra Boshin), combattè con la naginata e venne messa a capo di uno speciale corpo d'assalto femminile "irregolare", dal momento che il signore Aizu non permise loro di unirsi all'esercito regolare. 
Mentre guidava un attacco contro l'Esercito Imperiale Giapponese venne colpita al petto da una pallottola e, pur di evitare che il nemico avesse la sua testa e potesse esibirla come trofeo, chiese a sua sorella Yuko di decapitarla e seppellirla; la sorella eseguì l'ordine e i resti di Nakano Takeko vennero sepolti presso il Tempio Hokai-ji, l'odierno Aizubange, dove venne in seguito eretto un monumento in memoria di questa donna guerriero. 
Ancora oggi, nel corso dell'annuale Festival d'Autunno Aizu, un gruppo di giovani donne indossa l'hakama e cerchietti di stoffa bianchi, impugna la naginata e prende parte alla processione che ricorda le gesta di Nakano Takeko e del suo manipolo di indomite guerriere.

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