lunedì 28 luglio 2008

Aikido Kiseidojo Doshinokai


E’ piuttosto facile intuire che, in questi giorni di inattività forzata, la mia marzialità è stata declinata soltanto nella sua accezione filosofica e teorica.
Data la difficoltà nel reggere libri e sfogliare pagine, poi, ho fatto un’autentica indigestione di filmati e documentari marziali.

In più occasioni ho avuto modo di lasciar trapelare la mia ammirazione per l’Aikido, arte marziale giapponese codificata da Morihei Ueshiba Sensei il quale non disgiunse mai la praticità e le applicazioni dagli studi tecnici, filosofici e religiosi; da questo perfetto connubio tra concretezza ed astratto ebbe origine un’arte marziale basata sull’accordo, sull’armonia nonostante il conflitto, sulla non opposizione; una disciplina che predilige il controllo e la proiezione su qualsiasi altra azione ed utilizza l’entrata, la spirale ed il cerchio come movimenti di base, non imprimendo alla reazione maggior forza di quanta ne abbia l’attacco.
Steven Seagal, noto attore statunitense, fu il più giovane Maestro ad impartire lezioni in uno dei più importanti Dojo di Osaka, oltre che il primo occidentale ad insegnare Aikido in Giappone ed è proprio in seno all’Associazione Tenshindojo fondata da Seagal che Marcos ed Antonio Peña sviluppano l’Aikido Kiseidojo Doshinokai.

I due istruttori di Siviglia si avvicinarono alle arti marziali durante l’adolescenza, praticando Taekwon Do, Pugilato ed Apkido ed approdando, negli anni ’90, all’Aikido che riempirà le loro vite; le loro esperienze, accumulate anche grazie alla pratica pluriennale di diverse discipline marziali, li spingono a cercare una prospettiva d’Aikido più reale, efficace, sincero. Cercano un Aikido che sia veramente arte marziale e non danza marziale. Una ricerca che li porterà a viaggiare in Spagna ed Europa.
Un detto Zen asserisce che “quando l’allievo è pronto, arriva il maestro” ed è esattamente ciò che avviene nel 1999, quando proprio a Siviglia viene realizzato un corso di Aikido tenuto dall’ultimo direttore tecnico della Tenshindojo, Larry Reynosa Sensei: realismo ed efficacia delle tecniche, forza ed armonia, concretezza e sincerità. In seguito, i due continuarono a percorrere la via dell'Aikido con Matsuoka Sensei.
Nell’Aikido di Marcos ed Antonio Peña un ruolo essenziale è rivestito dall’aggressore, che deve portare attacchi sinceri – ovvero reali e non concordati – affinchè venga verificata la reale efficacia di ciascuna tecnica.
Oltre alla parte introduttiva, che ripercorre la vicenda degli istruttori di Siviglia, ed un breve viaggio nella storia dell’Aikido, il filmato è assai ricco di immagini tecniche illustrate con efficacia e chiarezza: triangolazioni, deviazioni e reazioni, anticipi e leve articolari, squilibrio dell’avversario – tramite deviazione od elusione dell’attacco – e controllo.

Un bel documentario su una bella disciplina, che mi ha fatto riassaporare un po’ di vera marzialità pur nella forzata immobilità della mia ingessatura.

Tra pochi giorni festeggerò il mio compleanno partendo per la magnifica Sardegna: terra che amo, mare che adoro e cibo che idolatro. Ho predisposto alcuni post, scritti mooooolto lentamente durante la mia ripresa, in modo tale che vengano pubblicati durante la mia assenza. Spero che vogliate passare a trovarmi, curiosando tra le cose che ho avuto modo di leggere, vedere, vivere durante il periodo d'infortunio e di riabilitazione, e lasciare un commento o anche solo un saluto.
Risponderò a tutti con vero piacere appena rientrerò a casa, colma di nuovi racconti e foto!

giovedì 24 luglio 2008

Delle onde e del mare



In tutti questi giorni trascorsi in “riposo forzato” avrei tanto voluto leggere, ma nel mio caso il detto “chi ha il pane non ha i denti” si può tranquillamente tradurre in “chi ha tempo non ha modo”: reggere un libro e sfogliarne le pagine con una sola mano si è rivelato essere operazione tutt’altro che agevole!
Comunque, con un po’ d’impegno ed una buona dose di pazienza, sono riuscita a realizzare almeno in parte il mio desiderio.

Avevo acquistato “Delle onde e del mare” circa un anno fa e poi, per un motivo o per l’altro, non ero mai riuscita a leggerlo; un vero peccato, perché l’argomento m’interessava alquanto, interesse accresciuto dal fatto che si tratta di un racconto di reale vita vissuta.
Sul finire degli anni Settanta un aereo partito da Tokio e diretto a Londra via Roma è costretto a sostare alcuni giorni in Pakistan a causa di un’agitazione sindacale; a bordo del velivolo, due ministri di culto: un sacerdote italiano cattolico, missionario in Giappone, ed un monaco giapponese Zen, missionario in Italia.

Condividendo la stessa camera d’albergo nei pressi della locale moschea, l’affrettarsi dei fedeli al richiamo della preghiera è per i due la scintilla che da fuoco alle polveri: “Io non mi farò mai cristiano, perché il cristianesimo è violento fino al midollo! Voi cristiani denigrate l’esistenza, proprio al primissimo impatto con essa – prorompe il monaco Zen – Voi non apprezzate le cose come sono perché subito le vedete come non autonome e demandate il senso del loro esistere ad un essere al di fuori del mondo ed oltre l’esistenza che chiamate Dio. Dio è la parola magica, intoccabile, ineccepibile, immune da ogni contestazione. A Dio si appella chi non sa amare l’esistenza al punto da conoscerne la bellezza e la perfezione. Voi occidentali – prosegue – prima ancora di essere cristiani o atei, avete in comune l'inclinazione a identificare la verità con il vostro pensiero di verità. Nella vostra Chiesa cattolica il pensiero ha raggiunto il suo successo più indiscusso nel dogma, nel cui nome la Chiesa ha praticato l’inquisizione, torturato, ucciso. Quando vi accorgete del grande errore ne provate vergogna ma subito vi affrettate a dire che fu errato il metodo e non il dogma. Come dire: poca roba! Ma a quelle persone inquisite costò la vita, la loro unica e preziosa vita, con qualità come la libertà, il rispetto, la gioia!
Voi dividete l’essere in nobile e non nobile; dividete voi stessi in anima e corpo; dividete la via dell’essere in bene e male; dividete anche il fondamento dell’essere, che chiamate Dio, sublimando in Dio soltanto la parte dell’essere che voi ritenete eletta, ovvero lo spirito, separandolo dall’altra parte dell’essere che ritenete bassa, la materia”.

“L’aspetto di molti buddisti mi richiama alla mente quelle pedane ambulanti di certe stazioni della metropolitana: scorrono lentamente spostando una fila di persone compunte, dal cui sguardo non trapela nulla, semplicemente spostati dalla pedana – esordisce il prete – Il buddismo, nonostante i numerosi inchini di rispetto e di umiltà verso tutto e tutti, ristagna dentro un’atmosfera artificiosa di posa. Appare come una serie interminabile di pratiche, una dietro l’altra per non lasciare trapelare la vita così com’è. Esso rimane inquinato di narcisismo, perché fin dall’inizio il buddista scioglie l’alterità dell’altro dentro il suo sé e non può instaurare un vero confronto con l’altro, dato che l’altro non gli è più un vero altro; nel buddismo non c’è, infatti, un attimo in cui l’altro sia consistente, da trattare con la serietà con cui si tratta ciò che è esistente come se stesso. L’altro è illusorio!
Il fiore di loto, radicato nel fango, distende i suoi petali sulla superficie dello stagno. Nella vostra tradizione è il simbolo della perfezione di chi emerge dal marasma storico da cui si tiene illibato; il fiore di loto, se esprime la bellezza che attrae molti occidentali, contemporaneamente indica anche la sua anima astorica. Nel buddismo la conoscenza del presente e l’adesione al suo attimo rimane asfittica; la legge di causa ed effetto spesso evocata da ogni buddista non suscita l’emozione della zattera che scorre libera nella corrente, ma piuttosto trattiene le emozioni imprigionandole nella cella dell’attimo fuggente. Io non mi farò mai buddista – conclude il sacerdote cristiano - perché sperimento fino al midollo della mia esistenza che l’intimo della mia anima non si riduce alla mia anima: c’è una presenza che la plasma di memoria del passato e di prospettiva del futuro, la smuove, la inquieta. Chiamo questa presenza Dio, per non ridurla mai all’io”.

Da questo scontro frontale, che pare stroncare sul nascere ogni possibilità di confronto e condannare al fallimento ogni tentativo d’incontro, ha invece inizio un’affascinante avventura spirituale sulla via del dialogo interreligioso tra Vangelo cristiano e Zen buddista, spoglio di ogni finzione.
Un’avventura che condurrà il missionario cristiano a sperimentare lo Zen racchiuso nella sua anima, che lo porterà ad un accresciuto amore per Cristo. E ad un’autentica amicizia col suo rivale.

In più occasioni ho asserito di essere credente e questo libro, la cui lettura mi sento di raccomandare a chiunque, ateo o credente che sia, di qualunque fede sia, ha ulteriormente radicato in me la convinzione che (perdonate l’esempio terra terra!) Egli è come la mamma: può essere Dio per me, Buddha per qualcun altro, Allah per un altro ancora, proprio come la mamma è madre per me, moglie per mio padre, nuora per mia nonna… molti nomi diversi – e diversi modi d’approcciarsi e di rapportarsi – per una sola entità.

Titolo: Delle onde e del mare
Autore: Luciano Mazzocchi
Editore: Paoline Editoriale Libri
Anno di pubblicazione: 2006

Vi invito, come sempre, a segnalare il vostro "Libro mai recensito": c'è un premio che lo aspetta! Basta un clic qui.

domenica 20 luglio 2008

Bruce Lee, la leggenda


Conoscete Bruce Lee? Al di là del mito, dietro gli urletti imposti per copione, oltre le scene acrobatiche di Kato c’era un uomo che ha segnato indelebilmente la storia delle arti marziali. “L’ultimo combattimento di Chen” avrebbe dovuto mostrare questo uomo e la sua visione del Kung Fu, una visione straordinariamente innovativa e rivoluzionaria, ma purtroppo Bruce Lee morì il 20 luglio 1973, pochi giorni dopo aver ricominciato a lavorare alla realizzazione del film. Aveva soltanto 32 anni e, con la sua morte, scomparve quel movimento di realismo nei film di arti marziali di cui lui si era fatto portavoce e fervente sostenitore.

Cinque anni dopo la sua scomparsa i produttori decisero di utilizzare i circa 100 minuti di girato ma ebbero certamente una brutta sorpresa quando scoprirono che almeno i due terzi erano rifacimenti di scene provate e riprovate, tagli e scene eliminate: Lee era un perfezionista, aveva impiegato fino a quattro giorni di riprese per realizzare sequenze che sullo schermo durano cinque minuti e la celebre scena in cui lo stesso Lee usa un nunchaku – scena della durata di circa tre secondi e mezzo – era stata provata almeno una decina di volte!
Alla fine i produttori scelsero soltanto 7 minuti e 11 secondi del girato originale e realizzarono il resto del film avvalendosi di una controfigura e, in alcuni casi, persino ricorrendo ad una sagoma in cartone del volto di Bruce Lee; il risultato finale della pellicola, che venne messa sul mercato con il titolo scelto da Lee, non ha nulla a che vedere con quella che era la sua idea originale e viene da più parti considerata come un grottesco ed irrispettoso tentativo di sfruttare il nome e la fama di Bruce Lee.

Dopo una separazione durata quasi un quarto di secolo, quasi incredibilmente, il soggetto originale, le sue note di regia ed il filmato originale del girato di “L’ultimo combattimento di Chen” vengono riuniti nel 2000, sei anni dopo il rinvenimento degli scritti che si credevano perduti per sempre ed è così possibile verificare come il pensiero di Lee fosse profondamente diverso da quanto messo insieme dai produttori al momento della sua morte.
Ed è grazie a questa ricongiunzione che è stato possibile realizzare il documentarioBruce Lee, la leggenda” e fare finalmente chiarezza su Lee, sul suo modo di vivere e sentire l’arte marziale, sulla sua metodica d’allenamento e sulla sua incredibile capacità di precorrere i tempi.

Tra le varie interviste originali presenti nel documentario, ve n’è una in cui Lee spiega la differenza tra Karate (allora molto noto negli USA) e Kung Fu; ci sono riprese di allenamenti, gli interventi della moglie Linda, le riprese con gli allievi in cui allenamento tecnico e studio filosofico si fondono.
Un documentario interessante ed esaustivo, che consente di avvicinare l’uomo celato dietro al mito.

P.S. Da Penelope ho trovato questo magnifico post: desidero condividerlo con voi, con chi sta cercando il "segreto" per vivere al meglio la propria vita o con chi, semplicemente, vorrà fare un salto nelle profondità dell'essere umano.

venerdì 18 luglio 2008

Fearless


Qual è il destino di un Maestro? Accettare le sfide e vincere ogni incontro? O salvaguardare la fama e difendere l’onore della propria famiglia? Oppure dimostrare di essere il più forte?
Jet Li è Huo Yiuanjia, Maestro di Wushu la cui storia si intreccia con la leggenda: nella Shangai del 1910 le Camere di Commercio Estere organizzarono una sfida tra quattro loro campioni ed il Maestro cinese, con il preciso scopo di dimostrare una volta per tutte che i cinesi erano i deboli “malati d’Asia”.
Inizia così, dalla fine della vicenda terrena del Maestro Huo Yiunjia, questo film che ripercorre la via di un essere umano, dall’orgoglio e cocciutaggine infantili sino all’arroganza costruita sulle vittorie dell’età adulta, via via sperimentando il dolore della maturazione e vera crescita fino al pieno rispetto e la vera saggezza della maturità.

Un film estremamente bello, la cui profondità fa perdonare anche alcune “pie illusioni” marziali (calci volanti che si fanno beffe delle leggi della fisica, tecniche mirabolanti che consentono di mantenere l’equilibrio e non precipitare dalla pedana sospesa nel vuoto in pieno spregio della logica e della forza di gravità…) e che regala autentiche verità su ciò che il Wushu – ma auspico tutte le arti marziali ed addirittura la vita di un autentico essere umano – dovrebbe potare: la consapevolezza che paura e rispetto non sono affatto la stessa cosa; la comprensione che “più in fretta” non significa “meglio” e che anche ascoltare il soffio del vento può portare un insegnamento; l’apprendere che spesso sono gli altri a pagare per i nostri errori; il comprendere che la vendetta porta solo a spargere altro sangue e che il Wushu serve per migliorare se stessi e sconfiggere il vero nemico, che è dentro di noi; il rispetto per tutto quanto ci circonda, si tratti di una piantina di riso o di un guerriero giapponese; la certezza che non possiamo scegliere come iniziare la nostra vita ma che possiamo scegliere come portarla a termine, con coraggio e operando per il bene comune.

Ora che la mia "marzialità" è necessariamente centrata sulla teoria piuttosto che sulla pratica, ho voluto guardare nuovamente questo film, che già mi era piaciuto. Ed è stata per me una sorta di benefica immersione - seppur virtuale - in ciò che l'arte marziale dovrebbe essere, laddove la Via dovrebbe condurre.

lunedì 14 luglio 2008

Lezioni di gesso


Sono profondamente convinta che nulla accada per caso. Tutto quanto ci avviene ha una sua ragion d’essere, a mio parere. E tutto, ogni singolo evento, può insegnarci qualcosa.

Questo periodo “di gesso” mi ha dato modo di apprendere diverse lezioni: mi ha consentito ad esempio di riscoprire la relatività del tempo, una notte insonne che pare durare venti ore ed un sonno ristoratore di una manciata di minuti che rigenera e riposa come una nottata intera. Mi ha insegnato ad ascoltare maggiormente il mio corpo: ho capito appieno che il mio radio era fratturato quando, raggiunta la quarta ora d’attesa al pronto soccorso, dal mio braccio è partito un urlo terrificante che mi ha paralizzato il corpo intero; la sensazione è stata quella del celebre “Urlo” di Munch: silenzioso (non ha emesso alcun suono il mio braccio, proprio come non lo emette la tela dipinta) ma estremamente reale e… udibile. Dopo di allora, bisbigli che mi suggerivano di riposare, vocii che mi intimavano di muovere le dita della mano, sgridate che mi imponevano di non forzare per aprire barattoli o sollevare pentole…
Strettamente legata a questa lezione c’è stata quella sull’umiltà: rendersi conto che nessuno basta a se stesso, che anche un piccolo incidente può renderci inermi e bisognosi d’aiuto. Lavarsi i capelli, aprire una scatoletta di cibo per gatti, scolare la pasta o affettare un pomodoro di colpo diventano imprese difficili da compiere e se c’è qualcuno che lo fa con noi o per noi il cuore si riempie di gratitudine!

E la lezione su come ogni singola parte del nostro corpo sia importante. Io non sono mancina, fratturarmi il braccio sinistro, ritenevo, non avrebbe comportato grandi problemi; mi sono ricreduta appena tornata a casa, quando ho cercato di svitare il tappo di una bottiglia di succo di frutta senza riuscirci. Troppo doloroso cercare di far forza con la mano sinistra sul tappo o tentare di tenere ferma la bottiglia… Poi, mano a mano che il dolore si attenuava, ecco l’altra lezione: l’essere umano ha una adattabilità ed una capacità d’apprendimento sorprendenti! Io, ad esempio, col passare dei giorni ho imparato ad arrangiarmi alla bell’e meglio: il tubetto di dentifricio si può svitare anche coi denti, si può bloccare la bottiglia d’acqua tra ingessatura e sterno mentre la si apre con la mano destra, la pentola con la pasta la si solleva prendendo un manico con la mano destra e posando sotto l’altro il gesso, ci si impiega il doppio del tempo me è possibile persino fare un’asola alle stringhe o ai pantaloni di lino usando una sola mano ed un dito dell’altra mano!

E poi l’importante lezione sulla “relatività totale”, su come tutto sia relativo: mentre me ne stavo ormai da quattro ore al pronto soccorso (due ore d’attesa nel primo, poi la radiografia, il trasferimento al secondo pronto soccorso ed altre due ore e passa d’attesa), sempre più dolorante, è arrivata un’ambulanza a sirene spiegate. Il mio banalissimo “codice verde” era giustamente destinato a cedere il passo al “codice rosso” appena arrivato. Ma, nonostante l’estrema urgenza del caso e la prontezza di medici e paramedici, il ragazzo del “codice rosso” non ce l’ha fatta. Il dolore al mio braccio non è certo diminuito per questo, ma la mia impazienza ed insofferenza si sono di colpo dileguate mentre la sala d’aspetto del pronto soccorso veniva riempita dal pianto e dalle grida di dolore della giovane moglie di quel motociclista, dalla disperazione di un padre che ha visto morire il proprio figlio. Mi sono persino sentita in colpa perché col mio banale braccio dolorante toglievo tempo prezioso a personale medico ed infermieristico.

Il gesso è stato un gran maestro, mi ha dato tempo di pensare, sentire e meditare. Mi ha insegnato molto. E ha riconfermato la mia certezza che nulla avvenga mai per caso.

Desidero ringraziare tutti coloro che sono passati a trovarmi (virtualmente, telefonicamente...) durante il mio periodo di assenza forzata, che in mille modi mi hanno manifestato affetto. Grazie, davvero di cuore! Posso considerare anche questa una "lezione di gesso": non avrei mai creduto che delle amicizie virtuali potessero rivelarsi così... reali!
Grazie, davvero!
Ora, poco per volta, spero di poter ricominciare a scrivere (anche se per ora ancora moooolto lentamente e con la sola mano destra... SIGH!) e di poter tornare con maggior frequenza ai nostri incontri.

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